Le ricette per uscire dalla crisi, a sentire i politici e gli economisti, sono tante. Ognuno ne propone una e si pensa che avendo i voti per metterle in atto, si possa invertire la marcia. Purtroppo però la realtà è differente. In verità abbiamo un sistema politico ancora incerto e frammentato.
Per quanto le ultime elezioni europee abbiano di fatto consegnato una chiara indicazione sulla leadership preferita dagli italiani, i numeri in Parlamento fanno riferimento alle elezioni politiche, nelle quali il paese non ha deciso veramente chi lo dovesse governare, considerando lo scarto minimo tra i primi due partiti e la forte e radicata presenza del terzo. In assenza di unità di intenti, dare aria alla bocca con fantomatiche ricette sembra essere diventato l’hobby di chiunque, anche di chi si limita a commentare un articolo sul giornale.
Tutte le misure prese, quantunque presentate in pompa magna e poi ridimensionate, devono purtroppo fare riferimento a un quadro finanziario allarmante. Le proposte dell’opposizione se possibile sono anche più roboanti. E’ vero che lo spread è diminuito, ma la necessità di far cassa impone ai governanti di spostare il mirino del prelievo fiscale ora su una categoria (esempio i beneficiari di una pensione cosiddetta d’oro), ora su dei beni (le case, oppure le sigarette e la benzina, per citare dei casi macroscopici).
Il peso del debito pubblico schiaccia l’Italia ai limiti del patto di Stabilità, dovendosi mantenere nel 3% del rapporto deficit / PIL e sotto il 60% nel rapporto debito pubblico / PIL. Dal momento che siamo praticamente fermi o in recessione il PIL diminuisce costantemente, costringendo a manovre di recupero per tenere in equilibrio quelle percentuali. A questi dati di crescita poco incoraggianti si aggiungano le politiche maldestre dell’ultimo decennio, che al posto di una vera politica di liberalizzazioni, ha visto la crescita esponenziale della spesa pubblica, facendo saltare il primo dei rapporti inerenti il patto.
Non è un caso che in questi ultimi mesi le politiche anti-europeiste abbiano in qualche modo visto riconosciuta un’affermazione alle urne. Anche in Italia, nonostante sia l’opposizione ad essere convintamente anti-europeista (cum grano salis va preso questo, dato che è un argomento propagandistico molto potente), il partito attualmente al governo, cambiando leadership ha provato a mettere in discussione la politica del rigore portata avanti da quei paesi che all’interno del Patto di Stabilità galleggiano in modo confortevole. Tanto è vero che i politici italiani, prima ancora che preoccuparsi di migliorare i fondamentali, hanno chiesto di rivedere i metodi di valutazione con i quali si giudica l’early warning relativo alla violazione del Patto di Stabilità.
Le politiche per lo sviluppo, in ogni caso, considerando sia le best practice tipiche di un’economia in salute e funzionante, sia le assi fondamentali sulle quali si regge il Patto dell’Union Europea, non possono fare a meno di prendere delle direttrici chiare. Gli assiomi sono ben noti: diminuzione della spesa pubblica, diminuzione della corruzione e dell’evasione fiscale, introduzione di misure di sollievo nel mercato del lavoro, abbassamento progressivo delle tasse per salvaguardare i consumi e rilanciarli. L’obiettivo va raggiunto abbassando il deficit e alzando il PIL.